domenica 30 settembre 2007

Circa 4.5 milioni di euro in meno per il Comune di Rotondella

La compensazione è stata ridotta del 60%. Il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) ha rettificato la decisione precedente riguardo ai fondi da destinare ai comuni nuclearizzati stanziando solo 71 milioni di euro; di questi il 4% sarà destinato al Comune di Rotondella e un altro 4% alla Provincia di Matera. Numericamente questo significa che invece degli oltre 6 milioni di euro il Comune di Rotondella riceverà solo 2.8 milioni.
Un’altra questione aperta, emersa nel consiglio comunale di ieri sera, riguarda i lavori sulla viabilità. Come evidenziato anche dalla stampa locale nelle settimane precedenti, non solo si avrà una riduzione dei fondi da 7.1 a 6 milioni di euro, ma sembra che ci sia un vero e proprio braccio di ferro tra Provincia e Comune circa la scelta dei lavori da eseguire: abbattimento e ricostruzione del ponte sul Sinni o riduzione dei tornanti che separano il centro abitato dalla S.S. 106? La preferenza per quest’ultima opzione, sulla quale è sicuramente orientata la popolazione residente e sulla quale “sembrava” orientata la stessa Giunta comunale, dagli intervanti di ieri sera degli Assessori Agresti e Dimatteo, oltre che del Sindaco, è risultata essere espressa in maniera alquanto contraddittoria. Per comprendere meglio la posizione della maggioranza comunale, oltre che l’evolversi della situazione in relazione alla disputa con la Provincia, non resta che aspettare il prossimo consiglio comunale.
Gianluca Bruno

sabato 22 settembre 2007

Intervista all'on. Giuseppe Giulietti sulle scorse elezioni primarie

Propongo l'intervista integrale a Giuseppe Giulietti, Responsabile Comunicazione Primarie, realizzata dal sottoscritto e da altri colleghi universitari in data 9 novembre 2005 a Roma.
E' possibile trovare l'intervista all'interno del volume io partecipo io scelgo io governo scritto in collaborazione tra l'Osservatorio Mediamonitor, della Facoltà di Scienze della Comunicazione, e Articolo 21.
All’indomani dello straordinario successo delle Primarie Michele Serra, su Repubblica, ha scritto che quello del 16 ottobre è stato un evento che la società civile aspettava da tempo e che, a vedere le persone in coda composte e sorridenti, c’era da chiedersi come mai nessuno ci avesse pensato prima. Secondo Lei le Primarie hanno realmente soddisfatto un bisogno inespresso della società italiana? Sono entrate o entreranno presto nella nostra cultura politica o sono state solo il frutto di una particolare congiuntura?

Ho sempre molta paura di quelli che ritengono di avere una ricetta precisa. Credo che la prima cosa che dovrebbe insegnarci l’esperimento delle Primarie è l’uso del dubbio e la capacità di ascoltare la società e non di dettare esclusivamente ricette. Vale a dire la capacità di utilizzare i più raffinati strumenti della comunicazione, della sociologia e dell’inchiesta per capire gli umori più profondi della collettività e sapere che anche questi possono non essere esaustivi. Quasi nessun grande centro di ricerca e quasi nessun editorialista italiano aveva colto la nuova tendenza e quindi le Primarie ci mandano a dire che c’è un difetto di antenne nella pancia della società e che è sterile la contrapposizione tra partiti, mondo accademico e mass media. Secondo me le primarie hanno colto il bisogno dei cittadini di potersi esprimere e di poter esprimere, come abbiamo detto in uno dei nostri slogan, un voto che conta. Ho come la sensazione che i nostri cittadini spesso siano stati chiamati a consultazioni che in realtà non hanno avuto conseguenze. Questa volta, invece di avere un diritto in meno, è stato consegnato loro un diritto in più e lo hanno esercitato.

A fronte di questo bisogno e dell’indiscusso valore politico di queste consultazioni (una risposta al contestato ritorno al proporzionale della destra) quanto ha pesato la comunicazione sulle Primarie, il solo “parlarne” di per sé?


Sin dall’inizio abbiamo spiegato che con le Primarie i cittadini avrebbero avuto un nuovo diritto e che L’Unione si stava seriamente impegnando per rendere solida la richiesta dei cittadini di avere più diritti e più certezze. Questo segno “più” si contrapponeva, nelle stesse ore, al fatto che un Berlusconi, disperato, pur di tentare di ridurre la sconfitta, ricorreva ad un imbroglio palese che dava a tutti meno diritti e meno certezze. In questo senso la campagna impostata sul “più diritti” è stata messa maggiormente in risalto, negli ultimi giorni, dalla scelta degli alleati di Berlusconi di ridurre i diritti sociali e di libertà.
In questo contesto il “più” è stato attribuito all’Unione e il “meno” alla coalizione di centrodestra ma, ovviamente, questo non è detto che si ripeterà nei prossimi mesi.
Quindi L’ Unione ha tratto favore anche dal confronto con l’altra coalizione?
Si, ma questo non era possibile prevederlo anticipatamente. Noi siamo partiti con una campagna all’insegna del “più diritti” ma l’estremismo dello schieramento opposto mediaticamente ci ha aiutato a rendere più chiaro il nostro messaggio.
In realtà la campagna elettorale delle Primarie, grazie anche al contributo dell’università e della società civile, al lavoro impeccabile dei volontari e ai seminari organizzati per capire le ragioni delle Primarie, ha evidenziato la nascita di un nuovo diritto e quindi non mirava semplicemente a chiedere un voto contro Berlusconi. Quest’ultimo cinque anni fa si era affermato, grazie ai tanti miracoli mediatici e ai sogni gratuiti venduti in tv, con il segno “più”. Sembrava il più nuovo, il più fantasioso, l’uomo in grado di dare più certezze a ricchi e poveri. Aveva fatto un piccolo miracolo politico e mediatico. Questa volta mi pare che gli abbiamo strappato la bandiera del “più”.

Da subito Lei ha voluto che l’evento Primarie fosse l’occasione buona per una “comunicazione partecipata” in grado di coinvolgere maggiormente i cittadini. Pensa che la sicurezza raggiunta nella comunicazione sia stata supportata da una reale convinzione a livello politico?

Per le Primarie abbiamo cercato di impostare un lavoro di squadra per l’individuazione delle forme di comunicazione più appropriate al fine di esaltare, sempre e comunque, tutto ciò che unisce rispetto a ciò che divide. Abbiamo studiato segni, simboli grafici, parole e utilizzato i blog e la rete nel tentativo di raggiungere i cittadini e dimostrare loro che dentro le differenze c’è un robusto filo unitario.
Quindi penso che le Primarie siano un metodo dal quale non si possa tornare indietro. Che non debbano essere usate solo per confermare un candidato ma applicate soprattutto quando non c’è un candidato o quando si deve individuare il migliore. Bisogna studiare formule che rendano maggiormente possibile, accanto a quella legittima dei partiti, forme di candidatura che possano venire da associazioni e gruppi di cittadini.
Non si possono usare le Primarie come una clava sulla testa dei più piccoli. Sono dell’avviso che si debbano fare sempre e comunque, attraverso un regolamento condiviso, perché hanno un senso se suscitano passione e partecipazione.
Sull’interpretazione di questo istituto abbiamo avuto risposte diverse all’interno dell’Unione. Come Osservatorio sulla comunicazione politica riflettevamo sul fatto che utilizzarlo solo in alcuni contesti potrebbe generare situazioni di disparità in termini di diritti. Quindi chi decide se fare le primarie a Pavia piuttosto che a Milano, o a Firenze piuttosto che a Palermo?
Proprio perché la politica è fatta di regole, credo che sia assolutamente importante che il seminario sulle Primarie italiane annunciato da Romano Prodi, da Vannino Chiti e dall’Ufficio di Presidenza, qualche ora dopo il voto, debba essere la sede non solo per dire quanto siamo stati bravi, che in politica conta poco, ma per individuare un regolamento condiviso che consenta alle Primarie di non fermarsi a questo primo esperimento.
Una volta che si esprimono oltre 4 milioni di italiani la sola idea di mettere il dito nella diga significa non capire molto di politica. E’ meglio riconoscere che le Primarie sono un fatto positivo e che dovunque siano possibili si debbano fare. L’eccezione può essere preferita laddove il nuovo diritto non è condiviso e determinerebbe non un passo in avanti ma indietro.
Quali possono essere le cause di tali eccezioni?
Un passo indietro, ad esempio, si potrebbe avere qualora in una città non ci fosse accordo sul candidato proposto da una forza politica maggiore, che ha il 51%, i partiti minori e le associazioni. La mia è una preoccupazione a tutela delle forze politiche e sociali minori. Ci possono essere contesti territoriali in cui un partito è così radicato da potersi permettere il lusso di scegliere o non scegliere le Primarie.
Le lanciamo una provocazione: ci sono molte altre zone in cui le forze politiche, da sinistra a destra, hanno difficoltà ad avere un dialogo forte con la società civile. Allora può essere che la società civile sia più avanti rispetto ai partiti e proponga le Primarie che i partiti vedono magari come una sottrazione...
Io credo che in una società moderna uno schieramento di centrosinistra, in Italia ma anche in Europa, non possa che assumere la bandiera dei diritti civili e di libertà. Ci sarà una zona in cui ti scavalcheranno? Vorrà dire che tu, partito, non sei stato in grado di rispondere ai bisogni della collettività e non potrà certo essere uno strumento di democrazia diretta a terrorizzarti.
Rimango sconvolto quando mi dicono: “in quella città i partiti non ci sono più”, “in quella città i poteri forti comandano”, ”in quella città non si fa più un dibattito politico”, “in quella città non si parla di politica estera”, ”in quella città non si parla di etica”, “in quella città gli studenti non si possono riunire”. Questo mi fa paura perché significa che in quella città c’è il silenzio e quando c’è il silenzio nasce tangentopoli. Quando c’è un fermento di partecipazione bisogna coordinarla attraverso la “parola” e la parola è in genere una forma di controllo preferibile al silenzio

All’interno della coalizione ha incontrato qualche tipo di debolezza o incertezza riguardo alle Primarie?

Vorrei che prendessimo atto, non polemicamente, che le Primarie in Italia non sono nate bene, si sono concluse in modo entusiasmante ma che forse è arrivato il momento di fissare delle regole condivise da tutti gli schieramenti politici.
Non sono nate bene perchè si sono collocate al termine di un periodo di dissenso. Le Primarie sono state vissute per taluni aspetti quasi come una tragedia. Qualcuno pensava fossero un modo per evitare la divisione legittimando il leader, o ancora, una valida alternativa alla rottura. Molti hanno dato la sensazione più di subirle che di volerle. Sono nate quasi come il male minore e in alcuni casi hanno denotato, a mio avviso anche all’interno dell’Unione, una scarsa fiducia nei cittadini e nelle forme della democrazia diretta. Hanno evidenziato un’idea antica della democrazia, basata sulla concezione che quando la società degli ottimati, lo ritiene opportuno, si riunisce e ciò che viene deciso è giusto in sé. Un’idea che anche nelle sue varianti moderate non si rende conto che in realtà è una discendenza malefica delle forme peggiori del tardo giacobinismo o delle forme peggiori del leninismo nella sua fase degradante. Credo che questa visione asfittica, ottocentesca e non moderna della democrazia, sia nelle sue varianti di sinistra che nelle sue varianti moderate, rischia di far perdere moltissime potenzialità allo schieramento di centro-sinistra.
Io vorrei che queste difficoltà si superassero!Una volta acquisite le Primarie è necessario utilizzarle anche nelle situazioni scabrose. Vanno fatte a Milano come in Sicilia a qualunque risultato portino. È necessario sceglierle come metodo sostanziale e non casuale, perché se i partiti credono nella democrazia i cittadini credono nei partiti. Non si può pensare di farle a giorni alterni ma vanno considerate come una forma di investimento per il futuro.

L’esperienza delle primarie, che ha coniugato valori ed entità di diversa natura, ha presentato più di un tratto in comune con l’iniziativa di Articolo 21 che Lei porta avanti da tanti anni. Pensa che questo modello di gruppo organizzativo aperto possa essere un modello realmente esportabile in ambito politico?

Su questo ho sempre avuto serie perplessità. La cosa migliore è che ognuno faccia bene il suo mestiere e che si costruisca una rete in cui ciascuno costringa l’altro a dare il meglio di sé. Quello che è accaduto attorno alle Primarie è un esempio di moderna sartoria. Articolo 21 è nata sull’onda dei movimenti e dei girotondi ma ha sempre cercato l’inclusione. Questo mentre alcuni nuovi movimenti escludevano ed erano esclusi dai partiti politici.
Cos’è accaduto nelle Primarie? È successo che sono nate male ma hanno costretto ciascuno a dare il meglio si sé e a collaborare a stretto contato con gli altri. Se i partiti non si fossero mobilitati non avremmo avuto seggi in tutta Italia ma è anche vero che i partiti, senza lo straordinario lavoro di volontari, militanti e associazioni di cittadini, non sarebbero bastati.
In questo senso quello di Articolo 21 è un modello da imitare, nato per mettere assieme e non contrapporre partiti, sindacati, associazioni, individui, accademici, ricercatori, autori e scrittori, non chiedendo a nessuno di rinunciare alla propria identità politica e sociale.
Ecco il modello vincente che ho in mente. Dopodichè diffido dei mitomani e penso che nessun modello in sé sia sufficiente e che nessuna associazione debba presentarsi come modello ma come struttura aperta pronta ad accogliere altre esperienze. Vorrei che in Italia l’articolo 21 della Costituzione non fosse più un problema, che di Articolo 21 non ci fosse più bisogno e che, nel prossimo quinquennio, potessimo cominciare a progettare nuove opportunità di libertà. Però guai a proporre modelli unici!

Una delle preoccupazioni maggiori dei singoli partiti dell’Unione, ma soprattutto del Suo ufficio, è stata quella di fornire dati tecnici al maggior numero di elettori. In questo il ruolo delle nuove tecnologie, accanto a quello dei media tradizionali, si è rivelato indispensabile. Lei trova che nelle Primarie internet abbia affiancato degnamente i media tradizionali?

Il successo politico, organizzativo e mediatico delle Primarie credo sia stato determinato da tante nuove forme di comunicazione. Parlo di radio, tv, internet, blog, giornali di quartiere, giornali della lega delle cooperative e un mondo straordinario di edicolanti di cui nessuno parla mai. Si è messa in moto una rete mediatica che, senza escludere i grandi, ha attivato tutte le altre forme della comunicazione che fino a qualche tempo fa si guardavano con supponenza.
Spesso vediamo solo quello che va in onda su Rai e Mediaset mentre questa volta è stata fatta un’operazione mediatica che non è caduta nella trappola del duopolio. Secondo me questo è un messaggio anche per il futuro e starei attento a non credere che il nostro mondo si esaurisca in due talk show serali. Si può esistere e si può vincere anche senza mettere piede nei principali talk show del paese.

In periodi di cosiddetta “campagna permanente” uno degli indiscussi pregi delle Primarie è stato quello di attivare la partecipazione e la mobilitazione del popolo del centrosinistra anche in vista delle politiche del 2006. Per tenere vivo questo successo fino ad aprile come dovrà essere concretamente l’azione comunicativa dell’Unione?

Il grande vantaggio dell’Ufficio Comunicazione delle primarie, rispetto ai nostri predecessori, è stato avere tra le mani un brevetto collettivo. Ci è stato affidato un buon prodotto politico che estende i diritti, espande la democrazia e che è in grado di produrre passione e interesse. Non abbiamo avuto bisogno di ricorrere alla maionese per nascondere la puzza, abbiamo potuto presentare il prodotto come biologico, naturale e senza additivi, direttamente proveniente dalla terra della politica.
Non credo che nella politica venga prima il marketing o la tecnica. Quando non c’è il candidato, il programma e manca la passione allora non c’è marketing, denaro e comunicazione che tenga e si è destinati allo sconquasso, soprattutto a sinistra. Cinque anni fa qualcuno mi chiese dei consigli su come impostare la campagna elettorale ed io risposi che non riuscivo a trovare una fotografia che mettesse insieme 17 segretari di partito sorridenti. Bisognava solo capire che era indispensabile una proposta politica unitaria e un valido progetto.
A destra il meccanismo è diverso perché c’è la logica del proprietario anche se, a mio avviso, il tracollo è già cominciato e non è un tracollo mediatico. Non c’è più una politica, un leader, un progetto e quindi la finzione non riesce ad avere la meglio sulla realtà. Berlusconi non cammina più perché il suo schema è la fiction e questa funziona se si promette il futuro e non un prodotto scadente già provato.
Nel futuro credo si debba tener fede all’impegno di convocare la riunione sull’analisi delle Primarie per capire che la comunicazione non è stata una tecnica applicata, ma che la sua riuscita è stata dovuta ad una buona scelta politica.
Proprio perché abbiamo dimostrato di essere uniti attorno al Presidente e al progetto comune è cresciuta la nostra responsabilità nel concepire una campagna elettorale attorno alle parti condivise. Dobbiamo essere capaci sin da subito di proporre un grande slogan che proverei a lanciare in questa sede: “La realtà deve avere la meglio sulla fiction”! Berlusconi ha promesso dei sogni che in realtà sono svaniti anche se non basta affermare questo perché, accanto ai loro segni negativi, bisogna dimostrare agli elettori quali sono i nostri segni positivi.
Secondo me bisognerebbe dire agli elettori che vogliamo più pace e quindi dobbiamo uscire dall’Iraq, che vogliamo più sicurezza e quindi bisogna affrontare in ambito europeo il tema del terrorismo e dell’immigrazione, che vogliamo più sicurezza a casa e quindi i contratti di lavoro vanno chiusi, che vogliamo più scuola, più ricerca, più università, più sanità e quindi diciamo no alla devastazione degli strumenti pubblici di formazione, di cura e di solidarietà. Vede, dunque, una campagna impostata propriamente su temi politici, sulla vita delle persone e su tutti quelli che in America sono chiamati temi sostanziali? Si, sulla vita delle persone ma facendole anche sognare e dando loro ampio respiro.

Come crede potrà mantenersi in futuro un atteggiamento comunicativo partecipato in assenza di un evento, come le Primarie, così aggregante per la coalizione?

Dalle Primarie si evince una forte richiesta di unità da parte dei cittadini. Una volta elaborato il progetto comune e scelto il candidato, pur tenendo conto delle differenze interne, occorre puntare alla stabilità e lasciare che la campagna elettorale del 2006 ruoti attorno a Prodi.
Credo sia un grave errore archiviare l’esperienza delle primarie. La nostra scommessa è quella di ripetere l’esperienza per riuscire ad attivare una grande radiotelevisione locale e nazionale, di tipo umano, che si esprima in modi e forme diverse. Occorre utilizzare tutti gli strumenti, da quelli tradizionali come i manifesti e le assemblee fino a internet ma bisogna avere soprattutto la capacità di incidere sull’agenda delle comunicazioni. Cosa deve fare questo ufficio? Spostare la sua maniacale attenzione sul programma, costruire la colonna sonora unitaria che duri nel tempo, dimostrare che oltre le distinzioni, come nel caso delle Primarie, esiste un robusto tessuto unitario e, ovviamente, comunicare il progetto. Si parlava di continuare l’esperienza di una comunicazione unitaria laddove le elezioni saranno proporzionali e quindi dei singoli partiti. Ci sarà quindi la necessità di creare dei momenti forti anche a livello simbolico per non scoraggiare quei 4 milioni 300 mila votanti e possibilmente tanti altri... Quando venne fatta la legge elettorale truffa anche esponenti di spicco del mondo della politica e del giornalismo vennero a dirmi che le Primarie erano finite e che con l’arrivo del proporzionale l’interesse per queste sarebbe diminuito e i cittadini non sarebbero andati a votare. Ovviamente non avevano capito niente! Proprio perché ci si trovava di fronte a un imbroglio, l’offerta di un nuovo diritto avrebbe fatto aumentare la partecipazione, perché le persone avrebbero avvertito come una ferita indelebile quello che stava accadendo tra le file del centrodestra.
Per le elezioni del 2006 se gli elettori dovessero trovarsi di fronte a delle divisioni politiche interne potrebbe esserci il rischio di perdere. Ed io continuo a ripetere che Berlusconi non è affatto sconfitto, che i trucchi mediatici possono non farti vincere ma sicuramente aiutano, che in Italia c’è un umore politico moderato storicamente molto forte, che quella del centro destra sarà la campagna elettorale più dispendiosa e miliardaria che l’Europa abbia mai conosciuto e che l’idea che la destra sia già stata sconfitta è pericolosissima.

Al di là delle scelte editoriali o politiche delle singole testate o emittenti, Lei pensa che il mondo della comunicazione abbia coperto a sufficienza l’evento Primarie o lo abbia sottovalutato? E per quale motivo?

Se già una parte delle istituzioni della politica non credeva nelle Primarie il mondo dei media non ha fatto altro che assecondare questa tendenza. Qualche grande quotidiano, ad esempio, ha fatto delle campagne sostanzialmente contro le Primarie. Come si fa a convincere i cittadini che le Primarie sono inutili? Si incomincia dicendo che non servono, si fa parlare solo chi non ci crede e si confinano, in poche righe, le notizie utili sul come votare. Per cogliere immediatamente la distanza tra chi ha creduto e chi non ha creduto in questo nuovo istituto, basta andare a vedere la differenza fra le pagine dedicate all’ultima polemica tra i candidati e le informazioni date sulle modalità di voto. È legittimo che un mezzo di comunicazione possa non credere nelle Primarie però mi sembra giusto che informi il cittadino sul come votare.
La prima volta che le Primarie sono andate sulle prime pagine dei giornali è stato quando i no-global hanno occupato la sede di piazza Santi Apostoli. Pensa sia tutto un disegno interno alla logica dei media?
Questa è un po’ la logica del salotto chiuso! Alle volte la comunicazione accusa la politica di avere un’agenda chiusa senza rendersi conto di far parte dello stesso meccanismo . Oggi c’è il rischio di avere dei gruppi ristretti che si mandano segnali tra di loro e che, vivendo immersi nella fiction, non credono più nello strumento dell’inchiesta sociale. Senza saperlo anche chi critica la fiction è all’interno delle stesse coordinate culturali di un mondo che usa la tv per pettinarsi o rispecchiarsi e giudica la tv buona quando appare il capo e cattiva quando non appare. La tv è cattiva quando non ti fa più vedere il mondo, quando non ti da più stimoli e conoscenza, quando non esprime più curiosità e quando non ha più voglia di andare controcorrente. Credo che se qualche giornalista fosse andato lungo l’Italia a fare un’inchiesta sull’utilità delle Primarie ci avrebbe dato, nel bene o nel male, dei segnali e allo stesso tempo gli avrebbe ricevuti. Mi auguro che questa lezione sia tratta non solo da chi fa politica ma anche da chi fa comunicazione.
Devo ovviamente riconoscere dei meriti a qualcuno. Sulle prime pagine del Corriere della Sera ho letto dei pezzi di forte autocritica del prof. De Rita; ho visto su Repubblica, Ivo Diamanti, fare un’analisi molto attenta e precisa.
Noi come Ufficio Comunicazione abbiamo denunciato chi non ha dato notizie ma principalmente segnalato chi, al contrario, l’ha fatto. Ad esempio alcuni grandi conduttori di talk show hanno bucato alla grande parlando di chirurgia plastica e non delle Primarie. I Tg serali hanno trattato quasi esclusivamente le polemiche che facevano da cornice all’evento e alcune reti Mediaset non hanno mai fornito notizie a riguardo. Però, accanto a questi esempi negativi, è doveroso soprattutto ricordare tutti quelli che si sono impegnati fin dal primo momento a fare il loro mestiere con cognizione come Sky, Rai News, La7, Telenorba, Rai 3, il Tg2 e il Tg3, Primo piano, Ballarò; e ancora alcune straordinarie radio come Radio Città Futura, Radio Popolare, Radio Capitol e molte altre. Anche Uno Mattina, che dipende dal Tg1, ha elaborato una serie di schede informative e mi fa piacere constatare che nel servizio pubblico consistenti isole positive ci sono state. Sono inoltre contento di riconoscere che un giornalista così distante come Moncalvo, direttore de La Padania, ha creduto nelle Primarie.
Noi abbiamo intrapreso questa strada di studio già da qualche anno analizzando perfino l’intrattenimento, venendo talvolta accusati di blasfemia nell’ambito della comunicazione politica, e pensiamo fortemente che la strada maestra della cultura del nostro paese passa anche attraverso quelle trasmissioni che possono essere definite leggere...
Insisto sul fatto che le Primarie sono state un buon argomento politico, democratico e mediatico che è stato arricchito non dal gossip ma da una grande capacità di presentarlo.
La campagna mediatica si è affidata anche alla costruzione di set, eventi, immagini e strumenti della comunicazione correlati con il progetto politico. Il set artificiale della sede, il kit per votare e l’idea di fare la prima fiction di come si vota sono state intelligenti perché partivano da una buona idea politica. Buona politica e buone idee possono determinare buona comunicazione mentre una comunicazione geniale non può determinare una buona politica.

In un periodo di politiche dello Studio da più parti contestate, non abbiamo potuto fare a meno di notare una considerazione per il ruolo dell’università – per la facoltà di Scienze della Comunicazione in particolare – che spesso anche all’interno del centro sinistra è decisamente mancata. Come valuta, da uomo di comunicazione, l’apporto che un Osservatorio universitario può dare alla rivisitazione o almeno al monitoraggio della comunicazione politica italiana?

Straordinario! Anche se sono il meno adatto a giudicare perché conosco da tempo la vostra professionalità. È stato un lavoro importante perché alle nostre idee occorreva un indispensabile supporto scientifico e ha dimostrato che per fare una buona comunicazione non serve affidarsi esclusivamente ai mass media ma anche a chi è in grado di legare le dinamiche comunicative a quelle sociali.
L’Unione ha da subito accettato la mia proposta di affidare parte della comunicazione a degli studenti universitari interessati a fornire il loro contributo attraverso la realizzazione di sistemi simbolici, slogan e frasi che hanno interpretato molto bene l’evento Primarie. E penso che Romano Prodi farebbe bene a mantenere questo rapporto stretto con l’università. Tra l’altro credo che non sia faticoso scegliere un metodo di lavoro di questo tipo e che oltretutto sia divertente.
Una delle cose che ricordo con piacere è quando sono venuto all’università e sono stato interrogato da studenti che quasi sicuramente alle scorse elezioni avevano votato per il centrodestra. Questi, di fronte alla particolarità dell’oggetto Primarie, non hanno avuto paura e hanno da subito capito che stavano parlando di un diritto in più, che oggi può riguardare il centrosinistra ma che domani potrà riguardare lo schieramento per cui loro voteranno. Quindi ritiene che potrebbe essere un primo passo verso ruoli tecnici della comunicazione? Penso che sia sempre positivo tutto ciò che determina l’allargamento ma questo va praticato e non semplicemente dichiarato.

Immaginiamo che questi mesi di lavoro, spesso frenetico, alla direzione dell’Ufficio Comunicazione delle Primarie le abbiano fatto vivere più di un episodio degno di memoria. Ci racconta quello che più di tutti Le fa piacere ricordare?

Il 16 mattina quando mi sono svegliato, se così si può dire, ho acceso il cellulare e alle 08:01 è arrivato il primo sms con su scritto: sono il segretario del Cardinal Tal dei Tali e ho già fatto il mio dovere. Alle 08:03 un frate Benedettino diceva di aver votato e di aver addirittura benedetto il seggio. Infine alle 08:12 un amico mi ha segnalato che, al seggio in cui si trovava, erano da poco andate a votare delle suore. Questi sono stati i primi sms e ho subito pensato che, essendo uno che ama molto scherzare, ero rimasto vittima dello scherzo di qualche amico.
Sono uscito per strada alle 09:15 e via Candia era deserta. Ho pensato che stava andando male e che gli amici di prima mi stavano seriamente prendendo in giro. Poi ho girato l’angolo, sono arrivato alla sezione e ho visto tutte le persone in fila. Mi sono avvicinato, ho chiesto scusa per i disagi e un signore, guardandomi con fastidio, mi ha risposto: “Chi ti ha chiesto le scuse? E’ l’unica volta in vita mia che mi sto divertendo ad una fila”. Questo è solo il primo aneddoto della mattina del 16 ottobre e lo ricordo divertito.
Gianluca Bruno

giovedì 20 settembre 2007

Alcune considerazioni personali sul Partito Democratico

In principio, i problemi con i quali si è dovuto confrontare il nuovo Partito Democratico andavano dalla reale collocazione nazionale e internazionale, al rischio di una semplificazione dell’offerta politica del centrosinistra, a come concepire e organizzare il rapporto con i partiti della cosiddetta sinistra radicale, fino alla questione cruciale della leadership e delle relative elezioni primarie.
Alcuni di questi problemi sono stati risolti. Altri, come la convergenza sui grandi temi quali la modifica della legge elettorale, la riduzione della spesa pubblica, il precariato, la ricerca scientifica, la scuola e l’università, i Dico, il terrorismo e le altre questioni internazionali ecc, non sembrano avere “ad oggi” una visione realmente unitaria all’interno della compagine del nuovo Partito Democratico.
Una questione realmente aperta, che è puntualmente emersa in quasi tutti gli interventi di ieri sera, alla presentazione rotondellese della candidatura di Carlo Chiurazzi alla segreteria regionale del Pd, è quella relativa all’attecchimento territoriale del Partito Democratico.
L’Italia è uno di quei paesi in cui i particolarismi geografici (sociali, culturali, produttivi e occupazionali, linguistici ecc) rendono profondamente difficile una lineare visione d’insieme. E la territorialità rappresenta la vera grande sfida del Partito Democratico, come ha dichiarato lo stesso Carlo Chiurazzi nell’intervista rilasciata al Quotidiano della Basilicata nei giorni scorsi.
Sarebbe interessante capire in che modo i candidati alla segreteria regionale intendano ottimizzare lo sfruttamento delle risorse territoriali (petrolio, acqua, agricoltura e turismo) e risolvere il problema connesso della disoccupazione. Esistono ricette nuove? La ricetta dei corsi di formazione è fallita. È fallita perché è necessario concepire la formazione in termini sistemici e accompagnare i ragazzi, una volta formati, fuori dalle aule fino alla possibilità di un reale inserimento lavorativo. È fallita perché è prevalsa la logica della quantità su quella della qualità. È fallita perché parte di tutti quei milioni di euro potevano essere impiegati diversamente.
Un elemento importante sul quale Carlo Chiurazzi si è soffermato, e sul quale sono molto d’accordo, riguarda la necessità di modificare la legge elettorale regionale che, allo stato attuale, non rende possibile un’armonica rappresentatività territoriale.
La sfida del Partito Democratico, nonostante gli inevitabili problemi ai quali in parte ho fatto riferimento, può essere vinta. È un’ambizione interessante che se perseguita con un metodo serio e trasparente può riuscire a rilanciare le sorti del centrosinistra e dell’intero sistema partitico nazionale e locale.
I movimenti elettronici e di piazza sono una grande risorsa democratica e alcuni dei temi che portano avanti sono condivisibili. Un paese, però, ha bisogno di partiti forti e non di liste civiche (come invece auspicato da Beppe Grillo); anche se in alcuni contesti il civismo riesce a prevalere sulla logica partitica proprio in virtù della maggiore flessibilità e dell’assenza di verticismi. Ma questa non può e non deve essere la regola.
Se è vero che i partiti politici sono ai minimi storici in termini di credibilità presso l’opinione pubblica, il Partito Democratico può essere la risposta seria, vera, autentica a questo problema. Il PD rappresenta una grande opportunità per l’Italia di oggi e quella di domani (quando magari si arriverà al bipartitismo) e per le sue tante ramificazioni territoriali. E le opportunità, specie in politica, non vanno lasciate sfuggire.
Gianluca Bruno

venerdì 14 settembre 2007

Parcheggi nel corso Fsn: «sono uno scempio»

ROTONDELLA - Anche il Fronte Sociale Nazionale si oppone ai nuovi parcheggi di corso Garibaldi a Rotondella. E' stato divulgato nei giorni scorsi un volantino di protesta a firma di Riccardo Valentino Paternostro, segretario regionale del Fsn, che ha ribadito le sue posizioni di dissenso nei confronti dell'Amministrazione. «Il nuovo parcheggio nessuno lo vuole - recita il volantino - avrà costi astronomici e rovinerà l'ambiente (alberi e passeggiata).
Le soluzioni alternative sono tante - aggiunge Paternostro - e soprattutto il Comune ha solo la metà dei finanziamenti. Come farà per l'altra metà?». Concludono il volantino tre versi di poesia come sintesi del contenuto: “Sincroni e dissonanti/ il tonfo degli alberi/ il riso idiota dei mostri”.
Quella di Paternostro non è la prima iniziativa di dissenso nei confronti dell'opera di riqualificazione di Corso Garibaldi. Già nei mesi scorsi, infatti, l'associazione culturale Community aveva avviato una petizione per fermare i lavori, giudicandoli inutili e dannosi all'ambiente, ma la protesta, fino ad ora, non ha ottenuto risposte. A giorni, infatti, dovrebbe essere previsto l'inizio dei lavori.

Pubblicato su "Il Quotidiano della Basilicata" del 13 settembre 2007

Pino Suriano